Mi
sveglio.
Eseguo
un BIOS del sistema operativo, che mi segnala immediatamente “system
error”.
Localizzo
due gravi problemi all'hardware: stomaco sottosopra, e cerchio alla
testa di tipo evangelico, ovvero corona di spine pulsante e
strettissima. La prudenza mi consiglia di aspettare prima di aprire
gli occhi, perchè da come mi sento potrei anche essere disteso in un
campo di battaglia, dove crudelissimi nemici si aggirano tirando un
colpo alla nuca ai feriti, e l'unica speranza di uscirne è fingere
di essere morti. In queste condizioni, trovo facile interpretare un
cadavere, e sono sicuro di averne pure l'aspetto. Penso, immobile, e
cerco di ricostruire i ricordi, a partire dai più distinti e lontani
per arrivare ai più nebulosi e recenti. Il tutto mi appare come un
film assemblato da un montatore schizofrenico, la cinepresa sono i
miei occhi.
Dissolvenza
in entrata.
Primo
piano lievemente sfocato di un gran bel paio di tette, strizzate in
una scollatura audace ma non troppo, tipica delle brave ragazze ma
non troppo. Le riconosco, e gli sorrido. Voce fuori campo.
“Certo
che te sei proprio fuori, eh”
L'inquadratura
si alza, e nell'ordine appaiono due bicchieroni da cocktail vuoti,
un'aggraziata mano femminile che tiene tra le dita una canna quasi
finita, e infine il viso di lei, che tirando l'ultima boccata
continua:
“Cioè,
io non sono mica abituata a cominciare le serate facendomi, voglio
dire, dopo questa bomba mi basteranno ancora un paio di cose da bere
e non capirò più un cazzo, ahahahahah, anzi mi sento già la testa
leggera, ihihihihih, me ne ordini un altro che è così buono?”
Dissolvenza
in nero.
Luci
stroboscopiche.
Musica
techno.
Non so perchè, ma sento che è tardissimo.
Un
paio di tette che non riconosco. Decisamente, non tette da brava
ragazza.
Gli
sorrido comunque.
Trucco
dozzinale, abbronzatura finta, riccioloni biondi che sanno di
parrucca lontano un miglio, abito lucido aderentissimo. Scommetterei
su un paio di zeppe clamorose tipo viado brasiliano, ma non le vedo
perchè, fortunatamente, ci separa il banco di un locale. Il che,
realizzo con terrore, significa che questa è una barista, e io sto
ancora bevendo. Vivo il tutto come un incubo psichedelico, mi giro, e
vedo pali da lap-dance, diligentemente strofinati con numerose e poco
vestite parti anatomiche da ballerine che non credo siano qui perchè
respinte alle selezioni del Bolshoi. Ma sono russe comunque.
Non
tutte.
Guardo
di nuovo.
Non
ci credo.
Gli errori numero 1,2,3,4,5 e 6 presentano il conto tutti insieme.
Il
palo centrale, quello con pedana alta, è circondato da sei-sette
individui di mezza età, piuttosto corpulenti, camicie aperte e
catenacci d'oro che sbucano dal pelo, e occhi tipo prete pedofilo in
crisi d'astinenza da chierichetti. Occhi fissi su un culo che invece,
con una sensazione di freddo che parte dalla nuca fino a ghiacciarmi
i coglioni, riconosco immediatamente.
Lei
si struscia il palo tra le gambe, il vestitino è salito di spanne
oltre il livello di guardia, butta la testa all'indietro scuotendo i
capelli, e ride. Io rimango immobile, come un imbecille, mentre mi
tornano alla memoria vaghi flash visivi e frasi a metà.
“Nononono,
ahahahahah, non andiamo ancora a casa, dai, eheheheh, oddio sono
strafatta, ihihihih, cosa c'è di ancora aperto in città? Ah sì,
andiamo al Mexico che chiude alle sei, ohohohohoh, ma ci credi che ti
sto portando a troie, uhuhuhuh, che matta che sono, ma almeno un po'
ti piaccio?”
Esco
dallo stato di trance solo quando un groupie cinquantenne
particolarmente allegro comincia ad allungare le mani, e arrivo
sbandando fino alla pedana. La prendo per un braccio, la tiro giù,
lei non smette di ridere e accennare mosse che potrebbero essere
danza latinoamericana, oppure lo stretching di riscaldamento di una
pornodiva prima di una scena impegnativa. I suoi giovani fans non
sono d'accordo. Li capisco, ma ormai sono entrato nella fase
“salviamo la brava ragazza”, sempre che data la situazione tale
definizione abbia ancora senso. Ne spingo via un paio, e cerco
l'uscita. Vengo fermato da un tipo tarchiato, grossissimo, vestito di
nero, pieno di anelli e tatuaggi, che con voce pericolosamente calma,
e ancor più pericoloso accento dell'est, dice:
“Dove
tu porti ragazza, eh?”
“A
casa, non si regge in piedi”
“Ragazza
da qui esce solo se io dico”
“Ma
è con me, è la mia ragazza!”
“Tanti
dice questo, ma qui ragazze sono di tutti”
“Ahahahahah,
non è vero, non sono la sua ragazza, stasera sono selvaggia,
ahahahahah!”
Reprimo
l'istinto di tapparle la bocca con una gomitata, e nel momento in cui
mister dangerous si gira un attimo per dire “Bienveniuti biella
giente, prego!” a due ceffi terrificanti che stanno entrando,
scatto fuori trascinandomi la selvaggia brava ragazza. Urtiamo
qualcuno, sento il rumore di un bicchiere che si rompe, una voce
femminile grida.
Corriamo,
io bestemmio, lei ride.
Passano
gli isolati.
Mi
cala l'adrenalina.
La
sento biascicare qualcosa come “ohiohiohi sto tanto male, qua c'è
casa mia, portami su”.
Nello
stesso istante in cui penso che magari la vicenda potrebbe anche
concludersi, nonostante tutto, con un finale divertente, lei si
piega in due e si esibisce in una riproduzione assolutamente
movie-accurate di Linda Blair nell'Esorcista, con l'unica differenza
che vomitando l'anima non gira la testa a 360°. Ma potrebbe anche
averlo fatto, non sono sicuro.
Dissolvenza
in nero.
(4
– continua...)
Pensiero
del giorno: “A me piacciono gli uomini per bene”
(Leia
Organa, “The Empire Strikes Back”, 1980)
Ah ah ah ah ah ah!!!!!
vecchio, sei sempre un fenomeno!
C.
ahahah!
Grande Seventy!
Emanuele
Incomincio ad avere paura che sia successo davvero
l.
E' successo eccome :)